sabato 17 ottobre 2015

Sulle spalle di giganti

Mitsunari Kanai è stato un visionario.
Non solo un gigante nell'Aikido, ma pure un divulgatore, un maestro che sapeva - possedeva vera conoscenza - e non aveva alcun timore nel divulgare, nell'introdurre senza fraintendimenti a quello che è il vero cuore dell'Aikido, separando in maniera netta simbolismi, falsa etichetta, "un'ideologia di aikido", da quello che invece è l'Aikido in senso stretto, sul tatami.
Non è banale, ne tanto meno così scontato trovare persone con una tale predisposizione, con un'attitudine non solo esplicitata nell'azione, ma pure ispiratori di un lavoro che permette a chi vuole di cogliere l'essenziale, ovvero l'aspetto più concreto di chi si avvicina a un Budo, come l'Aikido, senza per forza doverne sacrificare la funzionalità, in nome di una fumosa teogonia che si dovrebbe prendere come tale, per fede, senza mai poterne verificare il senso ultimo.

Dicevo, Mitsunari Kanai era un visionario e io incappai nei suoi scritti circa dodici anni fa (poco prima della sua scomparsa, ahinoi), all'alba di quella che poi divenne mia personale ricerca, inizio di un percorso che procede ancora oggi, senza sosta come è giusto che sia.
In coincidenza con i suoi scritti, le sue parole, avevo da poco sperimentato l'Aikido di un altro grande ispiratore, Seishiro Endo sensei, e ancora vagavo pieno di dubbi e frustrazioni, ma con la consapevolezza che quel lavoro lì, quella sensazione provata e completamente nuova, era possibile e con il giusto impegno e guida, pure accessibile.

Sulle spalle di giganti stiamo, come Bernardo di Chartres, ma anche se nani, nostro obbligo e dovere - almeno, mio dovere - è quello di alzarsi e fare un pezzo del percorso con le proprie gambe, con i propri personalissimi sforzi.

Non so se i suoi scritti siano coperti da diritti riservati, ho cercato comunque nell'internet e pare non siano più recuperabili; un po' per questo un po' per il rispetto che sento di dovergli, non ne riproporrò le pagine così come erano, preferendo adattarne e sintetizzarne qui sotto i punti salienti, come li ho appresi, elaborati, masticati e digeriti, a esempio di come oggi siano punto fermo e fulcro pulsante della mia pratica.




Il problema dell'armonia.

Uno dei principali, cronici e forse inevitabili problemi nella pratica dell'Aikido, è un allenamento che si riduce a facile esercizio, basato sull'eccessivo compromesso di collaborazione tra i partner.
Problema che sorge per via della convinzione sincera da parte di un considerevole numero dei suoi praticanti, che si rifà però a filosofie e teorie del tutto errate o fraintese.
Esempi delle molte errate interpretazioni dell'Aikido è l'enfasi data fin troppo spesso all'idea che possa esistere un 'Aikido style' di qualche tipo, espressione di una 'ideologia' di Aikido che concettualizza e mette in pratica l'idea di 'armonia' in modo totalmente falso (ovvero non utile in riferimento al pensiero che il maestro Kanai  - ma pure il mio, a scanso di equivoci - aveva dell'Aikido).

Per via dell'enorme importanza che ha questo punto - cosa davvero è l'armonia nello specifico contesto della pratica? - è necessaria una spiegazione, mantenendo presente che si tratta però di uno solo degli aspetti che coinvolgono l'Aikido nella sua accezione più ampia.

Certo, tutti sono consapevoli (per sentito dire almeno), di quanto sia importante, centrale, l'armonia nell'Aikido.
Nelle parole stesse del fondatore, armonia è intesa nei riguardi dell'intero universo, con tutta l'esistenza. Concetto davvero molto alto.
Prosaicamente, nell'individuo è intesa come sostanziale equilibrio tra mente e corpo, senza focalizzarsi troppo in uno solo dei due aspetti.
Ma in termini fisici, l'armonia ha un vero e specifico significato tecnico, riferito all'uso dell'intero corpo in ogni movimento.
Applicato a quello che è un contesto che vuole risolversi attraverso il conflitto (incluso nell'allenamento), è questo ultimo significato a cui bisogna riferirsi per fare in modo che si crei una situazione che catturi l'avversario - letteralmente la forza avversa sviluppata - e ci si armonizzi completamente.

Essere in armonia nell'Aikido non significa interagire con altri individui sulla base di un basso comune denominatore che tende ad eliminare il momento del conflitto - del vero confronto - senza curarsi delle regole, per mantenersi in una comfort zone che consenta una pratica facile ma illusoria.
L'armonia come dovrebbe essere intesa non ammette compromesso, richiede invece lo sforzo di combinare elementi differenti, forze differenti - opposte, nella maggior parte delle volte - tentare di 'metterle insieme', in un modo che innalzi e intensifichi la nostra pratica, portandola ad un livello più alto.

A titolo di esempio spesso si contrappone una realtà che vuole l'Aikido praticato insieme da adulti e bambini, vecchi e giovani. E' innegabilmente vero. Ugualmente vero, ma non altrettanto frequentemente messo in evidenza, è che l'Aikido può - e a mio modo di vedere, deve - essere praticato con lo scopo preciso di sviluppare tecniche che abbiano valore marziale.
L'ampiezza inclusiva che caratterizza l'Aikido non significa pertanto una rinuncia allo studio di tecniche di combattimento effettive, o che questa stessa ricerca sia meno legittima o importante rispetto ad altri aspetti più enfatizzati e diffusi.

Il risultato di questa serie di fraintendimenti, errori, sospetto sia stato il vero motivo del sorgere del primo, fondamentale e maggior problema dell'Aikido contemporaneo: l'assoluta incapacità - per il praticante medio - di riconoscere e identificare un valido sistema di allenamento che permetta di valutare le proprie effettive capacità, in relazione all'uso del proprio corpo per produrre, applicare e ricevere potenza, con lo scopo ben delineato di farne tecnica efficiente per risolvere conflitti e controllarne adeguatamente l'origine aggressiva.

Per far ciò, bisogna necessariamente partire dalla costruzione di una vera base, di un vero punto di origine che corrisponda fondamentalmente al corretto utilizzo del corpo, articolando in maniera dettagliata questa logica dell'Aikido che dovrebbe infine sostituire tutta la serie di astratti riferimenti che spesso si ritrovano nelle spiegazioni di moltissimi praticanti/istruttori di grado avanzato.

Il praticante dovrebbe comprendere come la fisiologia del corpo, la vera struttura del corpo umano, è la fonte primaria dalla quale nascono le regole e i princìpi per ottenere un funzionamento altamente efficiente.
Il corretto movimento del corpo è giudicato infatti da un solo esclusivo criterio: qualunque sia il movimento dinamico, la posizione assunta, alla luce della struttura anatomica umana, si dovrà utilizzarne in completa economia tutte le parti, organizzandole nella maniera più efficiente possibile.
Comprendere profondamente questa fondamentale teoria dell'uso del corpo, dovrebbe precedere e integrare ogni spiegazione specifica riguardo alla tecnica.

Una tecnica specifica basata su questi princìpi fondamentali sfrutterà ogni parte del corpo, organizzato in modo tale da ottimizzare e generare potenza. Se si realizza questo, allora la tecnica 'funzionerà'. Fallire in questa comprensione renderà la nostra tecnica inefficace e inapplicabile.

Si dovrebbe capire a questo punto, che nella pratica è fondamentale e inevitabile usare questo principio di massima efficienza evidenziato dall'anatomia strutturale umana. Armati di questa consapevolezza i praticanti dovrebbero essere in grado, ora, di distinguere perfettamente quale esecuzione tecnica non solo sembri, ma sia effettivamente funzionale.
A riprova infatti, le tecniche 'sbagliate' hanno tutte in comune un'esecuzione che non si preoccupa di questo enunciato fondamentale, al punto tale che, per esempio, molti gruppi di tecniche caratteristiche dell'Aikido (proiezioni, immobilizzazioni, atemi), mancano completamente di consistenza teorica e dunque appaiono eccessivamente distinte le une dalle altre.

Non è infatti proprio dell'Aikido, quello di costringerlo a un sistema rigido e suddiviso in comparti impermeabili. Al contrario vi è la necessità di afferrare concretamente perché questo modello di pensiero sia distante dall'arte stessa, atto solamente a formalizzare cattive abitudini, cattive abitudini per altro facilmente osservabili - la maggior parte delle volte - in quella che oggi chiamiamo pratica quotidiana dell'Aikido.

E questo ci porta direttamente a quello che è da considerarsi il secondo e conseguente maggior problema nell'allenamento odierno che nasce e si evidenzia nella relazione tra nage e uke.

Molto spesso l'allenamento è condotto in una specie di finto confronto senza che vi sia vero combattimento, o piuttosto condizionamento serio.
A causa di questo, il praticante fallisce in quello che dovrebbe essere lo scopo principale, alimentando piuttosto una vera e propria dipendenza dalla collaborazione da parte del suo teorico avversario.
Questa malsana, eccessiva cooperazione corrompe la vera relazione tra nage e uke dandoci al contrario il drammatico risultato di rovinare l'opportunità di incrementare la comprensione della dimensione del combattimento e dell'effettivo studio tecnico.

A causa di quello che si diceva poc'anzi - la mancata comprensione del principio fondamentale di utilizzo efficiente del corpo - nage, frequentemente non applica una buona e corretta tecnica che realmente sia in grado di proiettare uke; ciò nonostante uke viene proiettato. In questo caso, uke è implicitamente d'accordo nel recitare la parte, falsando quello che è appunto il vero scopo dell'allenamento.

Pare ovvio a cosa possa condurre una pratica di questo tipo: la relazione 'corrotta' tra uke e nage ha profonde e negative implicazioni per quella che ha pretese di enunciarsi come arte marziale, anche se questo tipo di allenamento descritto risulta molto comune.
Tutti dovrebbero chiaramente comprendere che sostenere questo tipo di pratica, dove in effetti delle persone non fanno altro che fingere di essere artisti marziali, non farà altro che allontanarci da quello che è vero Aikido, con il triste risultato che questi non sarà mai appreso o capito.

L'interezza - e l'integrità - della relazione tra nage e uke è chiamata sotai kankei, ed è poggiata sul principio fondamentale del riconoscere che questo tipo di relazione è assolutamente conflittuale.
Si tratta infine di acquisire la consapevolezza che la ricerca di armonia è un processo che passa giocoforza attraverso il conflitto, e che non può assolutamente essere evitato in nome di una filosofia lontana e il più delle volte completamente mal interpretata, accettando il fatto che la questione fondamentale è come fare uso della conoscenza per affrontare uke con l'utilizzo della tecnica corretta sulla base dei princìpi che governano l'Aikido.

E' assolutamente imperativo che ogni tecnica utilizzata sia 'reale', che ogni tecnica controlli l'avversario con l'utilizzo corretto della struttura del corpo in un dinamico, omogeneo e efficiente sistema.

E' solo comprendendo questi punti, utilizzandoli come base fondamentale del loro allenamento quotidiano, che le persone potranno finalmente arrivare ad aprire le porte della reale comprensione.
E' attraverso queste porte che il praticante deve passare nella prospettiva di fare dell'Aikido in modo razionale, sfruttando tutti gli aspetti per l'uso totale del corpo nella relazione tra nage e uke per generare vera armonia.
Senza questo, purtroppo, i praticanti saranno sempre condannati al compromesso, a improvvisare tecniche del tutto inefficienti, allontanandosi una volta di più dal vero cuore dell'Aikido.