domenica 15 dicembre 2013

La cosa

"The way I do things change, the way Chiba sensei does things change. To think about something as “old” is all in your head".

Morihiko Murashige Shihan



Un modello di qualche cosa non corrisponde alla cosa. Se corrispondente in tutto e per tutto all'entità modellata non ne sarebbe più un modello, sarebbe semplicemente la cosa stessa.
Mi sembra abbastanza chiaro, no? Allora perché ancora devo sentire gente confondersi in questo semplicissimo assunto?
La metto più semplice, magari aiuta: Pelé è stato un grande calciatore, giusto? Presumo, perché in realtà del calcio non me ne è mai fregato - e mai me ne fregherà - una emerita sega. Comunque, ammettiamo che sia così. Direste quindi che Pelé è il Calcio? Dunque, se Pelé è il Calcio, allora Maradona (del perché scrivo Maradona, vale lo stesso motivo di cui specifico sopra), che cos'è? Eppure sono distantissimi, no?
Ecco.
Allora, io mi sforzo di fare una cosa, prendendo a modello chi in quel momento risponde al meglio a quello che più mi avvicina alla cosa, ma tenendo ben presente che di solo modello si tratta e che mai e poi mai mi sono sognato, mi sognerei, mi sognerò, che questi è la cosa che mi interessa.

Avrei potuto scrivere che questa non è una pipa, tanto sarebbe stato uguale.

venerdì 13 settembre 2013

Hunk, senza cervello

C'è una linea sottile, tra ciò che è morbido e ciò che è elastico.

Sono d'accordo con i molti che lo pensano, nell'Aikido la rigidità è spreco di tempo, ma questo non può essere il lascia passare automatico per tutto ciò che ci passa per la testa, non può voler dire, come mi pare di veder tradotto troppo frequentemente - in quest'ultimo periodo soprattutto - bandire totalmente la forza ed in un certo qual modo l'esplosività, che sono invece parte fondamentale di un combattimento vero, non simulato, non esibizione concordata.
L'attenzione va posta nel limite, che divide l'eccesso sia dell'uno che dell'altro. E se un tempo si combatteva contro la linea di pensiero che vedeva nell'Aikido un uso spropositato della forza, dell'eccessivo sforzo, preludio di una rigidità che si cristallizza, ora non vorrei che si prendesse il suo estremo opposto, dove la morbidezza utile a mantenere elastica la nostra reazione (al contatto sensibile così come allo schivare di un attacco), si trasformasse istantaneamente in un'abuso di lassezza che è alla stessa stregua pericoloso e fuorviante.

Tutto questo discorso è pericoloso e fuorviante, per la verità.
Infatti va affrontato con cura, va dimostrato attentamente sul tatami, cosa significa essere elastici a discapito della rigidità, essere forti a discapito della cedevolezza senza scopo.
Ed infatti è nello scopo che si possono ritrovare le coordinate per un indirizzo sensato delle nostre reazioni, per far si che divengano strumenti a sostegno di una pratica costruttiva soddisfacente.

Oh, lo dico perché testimone del contrario, altrimenti per quale motivo parlarne?
Lo scrivo perché mi imbarazza un po' vedere uke generici sballottati senza alcuna ragione, senza alcuna costruzione logica che ne motivi l'improvvisa mancanza di reattività o peggio, eccedente e completamente fuori luogo.
D'accordo sulla disponibilità e sulla stupidità dell'ostruzione, ma non credo si tratti né dell'una né dell'altra, quando si parla di giusta risposta alla tecnica.

Contrariamente al pensiero istintivo e comune, penso sia giusto contrastare proporzionalmente l'esecuzione (ed io distinguo sempre tra contrastare e ostruire), se la tecnica non è eseguita nella maniera corretta, così come è giusto dimostrare una reattività sensata, nel rapporto con tori.
Contrastare la tecnica è parte integrante del processo di crescita che ci si propone quando si studia l'Aiki, e non è in alcun modo riconducibile alla mera ostruzione.
Il problema è: come faccio a contrastare intelligentemente, se riduco la mia pratica ad una risposta sconclusionata, nella migliore delle ipotesi eccessiva, ad un movimento - qualsiasi movimento - di tori?
Eh, infatti, come faccio?
Se vi è una risposta adeguata, con la giusta intenzione/pressione indirizzata al centro di tori, allora uke non potrà fare a meno dell'elasticità, della reattività stimolata da un perché ben preciso, che darà finalmente senso logico ai movimenti di entrambi.
Questo, piuttosto che tanti novelli Hunk, 'esagitati privi di senno' nelle mani di sedicenti maghi di Oz, poco interessati al ruolo di tori, dunque poco interessati ad un Aikido magari più faticoso, ma certamente più concreto.

sabato 6 luglio 2013

Alcune cose irriducibili in effetti

In Aikido, nell'Aikido, non si può "scambiare". Come nella Boxe, o nel Karate.
Non è l'Aikido un sistema - perché è un sistema, riducendolo al minimo per definizione - che basa la sua logica sullo scambio di colpi tra due soggetti coinvolti in una situazione di combattimento.

Una volta ho sentito un maestro.

Si, una volta ho sentito dire ad un maestro che l'Aikido si fa sul secondo attacco.
Spiego: dopo aver evaso il primo colpo dell'avversario, ci si sarebbe eventualmente piazzati per applicare la tecnica all'attacco successivo.
No. Semplicemente no. L'Aikido si fa subito.
Ed il resto è un lungo (o breve) unico momento dove si raggiunge il controllo sull'aggressore.
Lo stesso di prima - maestro - disse che non è possibile fare kotegaeshi ricevendo il primo tsuki.
Che è comprensibile.
E' comprensibile non il fatto che non si possa fare kotegaeshi da tsuki, ma la sua deduzione, viste le premesse.
Chiaro, se mi sta dicendo che non si può "fare Aikido" che sul secondo attacco, va da sé che non riesca in effetti a vedere il waza di kotegaeshi su un pugno diretto.
Ma questi sono particolari che mi servono da esempio (non è luogo per sviscerare concretamente, tecnicamente, come sia possibile o meno eseguire una tecnica, questo è un blog sull'Arte, non un manuale tecnico per dipingere).
Dicevo esempio, per cosa? Per illustrare come sia fallace la comprensione sul cosa sostenga l'apparato logico, che fa funzionare questo sistema.
E si è frainteso da subito, oppure non conoscendolo, lo si è sostituito con un altro, probabilmente funzionale a rispondere ad altre caratteristiche (magari un insieme che basa il suo costrutto sullo scambio di colpi, come la Boxe), ma non per l'Aikido, non pensato per adattarsi ad esso, quindi inadatto, illogico appunto, se calato in un contesto come il nostro.
E questo scambio (di logica) alla base, ne ha creato di fraintendimenti. E ancora ne crea.

Come si può affermare quel che affermo? Con la prova empirica, prima di tutto.
Ma anche(!) guardando alla base didattica, dove ci sono ruoli e compiti, che vanno compresi profondamente prima di passare allo step successivo.

Una volta ho sentito un altro maestro.

Questi però, andava in una direzione diametralmente opposta, sostenendo che, se si era stati così pronti da evitare il primo di attacco, e la divina provvidenza ci avesse concesso di scampare anche al secondo, molto probabilmente al terzo si sarebbe capitolati.
Perché? Perché la distanza, la posizione in rapporto all'avversario ed il tempo di reazione, non ce lo avrebbero permesso.
Un velocissimo scambio a corta distanza non è un qualcosa per cui, nello specifico, si è preparati quando si pratica Aikido.
Rassegnatevi.


Ora, ridurre qualcosa che ridurre non si può, è l'evidente problema.
Non si può perché non possiamo adattare un complesso (come struttura), complesso (come complicato), ai nostri fraintendimenti, o mancanze.
Non possiamo permetterci di andare al di fuori di questa logica, che sostiene la pratica della nostra Arte.

Immaginatevi a scambiare, con un boxeur, o con un karateka ben preparato, nella speranza di poter fare kotegaeshi al secondo attacco.
Oh ma, immaginatelo soltanto eh.

"L'allenamento dell'Aikido ha qualcosa in comune con il Kenjutsu: quando si usa la spada, dall'inizio alla fine del combattimento c'è sempre una distanza di circa due metri tra i due avversari.
Nell'Aikido, sebbene non vi sia una spada da impugnare, si ferma l'avversario nell'istante in cui la situazione diventa vantaggiosa per noi."

Questo. Nelle parole di Kisshomaru Ueshiba.

mercoledì 24 aprile 2013

Storie

"Voi credete che la pratica degli scacchi sia utile alla conduzione di un buon governo?"

"Temo di no, maestà."



Fare Aikido.

Come indossare delle scarpe nuove che fanno male.
E percorrere una strada disassata, piena di buche, dove ogni passo
comporta un sacrificio, un adattamento per non sentire il dolore, o sentirne un po' meno.
Significa soppesare ogni singolo passo, perché ogni singolo passo stride nel nostro corpo e nella nostra testa.
Acutizza la nostra sensibilità, l'attenzione si dedica tutta sulla strada da scegliere, per evitare il dolore quanto più possibile. anche se comunque inevitabile.

E' l'attenzione dunque, è pensarlo, ogni passo, così intensamente, che si smette di concentrarsi sull'arrivo;
certo, si può desiderare l'arrivo, ma pensare all'arrivo, a tutto quel che c'è dopo, è possibile solo a mente sgombra.
Ma qui le scarpe fanno male sul serio, la mente, il corpo, tutto il nostro essere è occupato a camminare nel miglior modo possibile, siamo troppo presi, in definitiva, per pensare ad altro che non sia il momento stesso.

Ecco, questa è una storiella. Ci può essere raccontata da qualcuno, magari annuiremo anche nell'ascoltarla, respirando profondamente, convenendo con noi stessi che sì, che in effetti non può essere che così, che in fondo in fondo la conosciamo già.

Ma non è vero. Noi non la conosciamo veramente, solo la comprendiamo intellettualmente.
E c'è una bella differenza, tra questa cosa qui sopra e mettersi delle scarpe che fanno male,
e iniziare a camminare.

sabato 23 marzo 2013

Necessità/Possibilità

Quando siamo sul tatami, alle prese con una nuova forma da eseguire, un esercizio da replicare pedissequamente e continuamente, chissà quanto ci interroghiamo sulla natura stessa di tale esercizio, sul pretesto che vi sta dietro, in ombra magari, rispetto a tutta una serie di premesse date dal maestro, ma che nascondono comunque motivazioni di cui forse - forse - è all'oscuro lo stesso, che la tecnica la propone.

Prendiamo omote ed ura, come evidente esempio per dimostrare quanto sopra.
Perché esistono queste due possibilità, nell'esecuzione di un kihon?
Ci si interroga mai sull'origine di tali variazioni?

Certo, come primissima risposta ci verrebbe da enunciare quella più ovvia, quella che da anni sentiamo come giustificazione plausibile, esaustiva(?) del "perché si fa così, invece che cosà".
Ed ecco allora il sorgere di parole (seguite da una mimica tutta fisica) come: 'posizione', 'lato esterno/negativo', 'lato interno/positivo', 'uscire', 'rientrare'...

Quando decidiamo di studiare una tecnica in ura, decidiamo appunto di fare questa scelta. Ovvero di restringere volontariamente il nostro campo ad una cosa soltanto. Ma per giustificare tale scelta, spesso omettiamo un punto piuttosto importante.

Il punto, che mi preme, non è tanto la decisione, ma proprio il punto in cui la decisione la prendiamo.

Se possiamo prendere una decisione, allora vuol dire che siamo nel campo delle scelte, e se di scelte si parla, allora non potranno che essere possibilità.

Imparare a riconoscere una possibilità, nell'Aikido, è altrettanto importante quanto saper riconoscere se una tecnica sia in forma positiva o negativa.

In maniera più specifica, Ikkyo omote o ura, l'una o l'altra, sono dettate sempre da necessità.
Ma questa stessa, è frutto della possibilità di scelta. Il lusso della scelta è qualcosa che si costruisce, che si dovrebbe sottolineare nella pratica, studiare.
Senza questo genere di approccio, non sarà così sensato prendere in considerazione la necessità, perché anche se sarà necessario (per non soccombere), fare qualcosa, non avremo in noi la conoscenza delle 'risposte possibili'.

Per risposte possibili, solo apparentemente mi riferisco ad una questione tecnica, quanto piuttosto il ricollegarmi al punto in cui la decisione la prendiamo.
Infatti, la possibilità è dichiarata da un punto (fisico, realmente esistente nello spazio), che sarà la combinazione di distanza, interazione, controllo e posizione tra i due soggetti dell'azione: noi ed il nostro avversario.
Questo vuol dire davvero conoscere le nostre possibilità, di fronte ad un attacco, ad esempio.
La "giusta" posizione, farà in modo che la necessità di ikkyo ura sarà conosciuta, consapevole, appropriata.

Questo, tutto questo, ancora per ribadire di come ci si sforzi continuamente di avvicinarsi alla reale natura dell'Aikido, che nel suo tessuto è in effetti tecnica (necessaria), ma il cui cuore è colmo di principii (possibilità).








giovedì 10 gennaio 2013

Amazing


Della relazione tra il "mi piace" e il comprendere veramente.

C'è, esiste, una specie di idiosincrasia che vivo particolarmente, da quando frequento il social network per eccellenza e che non nomino (tanto arrivate da lì).

Non discuto della possibilità che vi sia, effettivamente, un qualcosa che colpisca particolarmente la sensibilità del singolo, al punto da "piacere", anche senza aver ben compreso, o peggio conoscere, quello che si ci trova davanti agli occhi (perché condiviso, perché linkato da qualche amico), ecco non discuto di questo, che è più o meno esperienza comune di tutti, ed è anche normale, no, per me il problema fondamentale sorge quando a piacere è un qualcosa che avremmo i mezzi per capire, che teoricamente dovremmo capire, ma che poi tradotto in pratica, dimostriamo clamorosamente non solo il suo contrario, ma di essere lontani anni luce anche solo da una minima vera, intima, comprensione.

A cosa mi riferisco nello specifico?

Ad un video qualunque di Aikido. Quello vero però, quello con la "A" maiuscola. E qui si dovrebbe aprire una parentesi enorme sul che cosa è vero e cosa è falso, sul cosa pensiamo e decidiamo di catalogare come vero e cosa no, per carità, ne sono consapevole, e infatti non lo faccio.

Allora, per semplificare le cose, diciamo che è possibile utilizzare come discriminante il parere pressoché unanime del gotha mondiale (la massima rappresentanza) di questa specifica arte, orientandomi verso l'Aikikai di Tokyo e i suoi eccellenti maestri (ricordando che anche qui vi siano opinioni contrarie, ma insomma, la contestualizzazione è d'obbligo, tenetela presente sempre).
Ecco, appurata e verificata la base di partenza, ovvero che più o meno si consideri una docenza nel quartier generale dell'Aikido mondiale come garanzia di cognizione di causa, allora posso prendere per verosimile tale affermazione:"Seigo Yamaguchi Sensei è stato uno dei più grandi rappresentanti dell'Arte di Ueshiba", quindi, tradotto semplicemente nel comune (nostro): l'Aikido di Yamaguchi è sorprendente e/o fantastico e/o incredibile e/o superlativo e/o superbo e/o inarrivabile e/o unqualsiasisinonimochevoletevoibastachesia amazing. 
Detto ciò... detto ciò, ecco che scatta per l'appunto, la mia intolleranza.
Intolleranza meno che mai per il grandissimo maestro in questione (e come di lui anche altri, ma sempre Giapponesi, Tissier merita un capitolo a parte, non oggi), ma per coloro che a questo appiccicano tutta una serie di "mi piace".
Coloro che vi appiccicano questo e che quindi, per logica consequenzialità penserei, sono portato a pensare, hanno ben presente che cosa hanno di fronte, che si riconoscono, anche alla lontana, con quella che è l'arte nella sua pura e altissima manifestazione, attraverso le mani, il corpo, dello Shihan di turno.
Peccato poi in realtà non sia così. Non mi spiegherei altrimenti il perché, mi ritrovi spesso a condividere il tatami con persone che non hanno poi un'idea così precisa di ciò che stanno facendo e che a volte (solo a volte, eh), sono gli stessi di cui sopra.

E di qui nasce l'ipotesi: ma se "mi piace" un video di Yamaguchi, e lo manifesto (ho tutto il diritto di manifestarlo), perché mi fermo qui? Perché non mi sforzo di capire cosa colpisce così profondamente la mia fantasia, perché non mi sforzo di andare a fondo nella ricerca di una vera comprensione di quello a cui ho assistito ed in ultimo, non mi interrogo sul perché io, nel mio piccolo dojo, non cerchi di andare verso quella direzione invece che no, continuare alle "gare di forza" con gli amici, che tanto ci si diverte lo stesso?
Accade tutto questo anche a voi? Spero di no, ovvio, ma non sono sufficientemente ottimista. Se accade, perché?

Comprendere veramente quello che osserviamo in un video di Yamaguchi, quello che mi fa credere di aver assistito a qualcosa di sorprendente significa, in ultimo, che sorprendente non lo è per niente, ma frutto sì, di innegabile talento, coadiuvato però da una precisa ed eccellente didattica (questa davvero sorprendente, ma raggiungibile), volta alla assimilazione completa di come funzioni la cosa che vado a fare, di come sia strutturato l'Aikido nel profondo, a fondo, che ci avvicini a quello che ammiriamo, e che non si faccia ammirare e basta, lasciandoci però fermi lì, immobili nella nostra ignoranza compiaciuta e piena di: "non capisco, però mi piace". Che è sorprendentemente assurdo.