sabato 29 ottobre 2011

L'Ikkyo di Yamaguchi

"It is only when I lose contact with the painting that the result is a mess. Otherwise there is pure harmony, an easy give and take, and the painting comes out well."

Jackson Pollock


Osservo i filmati su youtube. Giusto uno o due, non ho intenzione di farmi prendere da alcun demòne. Quelli che paiono ai miei occhi di maggior interesse, non sono poi molti in effetti. Tra questi vi sono i pochi di Yamaguchi Seigo. E con Yamaguchi Seigo ho un legame a distanza, nel tempo e nello spazio, che molte volte ho considerato contradditorio e non solo. Se da una parte ne riconoscevo l'iconoclastico stile (parola che si appiccica all'Aikido come sapone su una superficie liscia e verticale), dall'altro trovavo molto difficile (i primissimi tempi in cui ho calcato il tatami), vederne tutta questa genialità.
Ma questo era un mio problema, come sempre. Un problema legato sopratutto ad aderenza a "modelli" per me molto distanti da questo curioso Shihan. Voglio dire, il mio "esempio da seguire" per anni era stato Christian Tissier (e non che non lo sia più per carità, solo ora distinguo ciò che è appunto esempio estetico ed interpretazione da ciò che invece è il mio interesse primario, contenutovi in esso), e nonostante fossi a conoscenza del fatto che fu uno degli allievi che più sentiva debito di gratitudine per l'insegnamento ricevuto direttamente dal maestro di Tokyo, davvero trovavo i due diversissimi nella loro personale espressione. E a ben donde (e ci aggiungo pure un "per fortuna"). Perchè? Perchè a Christian Tissier sarà capitata molti anni or sono la stessissima cosa che è capitata al sottoscritto (con questo non sottintendo null'altro che ciò che ho scritto, ovvero la possibilità che a lui sia venuto da pensare ciò che è venuto da pensare a me, e basta).
Ha saputo distinguere l'aderenza di forma dall'aderenza di contenuto. I modelli a cui si deve riconoscere tale ruolo possono pur sempre essere gli stessi, ed inizialmente si potrà anche esserne affascinati dall'immagine (esteriorità che per prima ci colpisce, sopratutto se siamo neofiti), ma dopodichè si deve abbandonare tutto questo, allontanarsi dal rischio stereotipato della riproduzione di uno stile che stile in effetti non è, ma sola manifestazione fisica dell'Aikido di un particolare soggetto, che non "imita" più il suo maestro, ma fa pura arte, attraverso i mezzi che lo stesso gli ha lasciato. Ecco perchè ora "riconosco" in Tissier, Yamaguchi, mentre ieri tutto questo mi pareva lontanissimo.
Questo discorso fila via sulla stessa strada per cui, ad oggi, posso tranquillamente ammettere di avere molti modelli/maestri, ma non seguirne esteticamente nessuno (e nemmeno mi importa). Certo, esiste il kihon no kata, che è pur sempre la base che ci assicura logica e architettura tecnica, ma il dovere di chi persegue l'Aikido come arte è certamente quello di spostarsi oltre questo, abbandonarsi oltre il proprio limite (esattamente come concretamente ci capita nel ruolo di uke), per aprirci alla "sostanza", la pura armonia, per fare finalmente Ai ki do, dove l'ultima particella di questa esotica parola assume, in conclusione, il vero senso che le spetta.

domenica 16 ottobre 2011

Beatles vs Rolling Stones

Osservate il video che si trova a questo indirizzo prima di continuare.

E' un'idea ridicola, lo sò. Eppure il canale di you tube ne è pieno (questo vs quello, Beatles vs Rolling Stones, Hulk vs The Thing e via discorrendo). Ora, non sarebbe poi idea così ridicola invece, se ci si sforzasse ad esser un po' più onesti. E per onestà considero sia quella dei direttamente coinvolti (o comunque di chi ne ha deciso il titolo), e noi dall'altra parte che stiamo a guardare e, inevitabilmente, a giudicare. Ed è proprio il giudizio ciò che più mi interessa, l'impressione che un video del genere ci lascia, piuttosto che la performance tecnica stessa dei protagonisti (anzi, del tutto priva di interesse per il sottoscritto).
La prima cosa che salta all'occhio, è l'assoluta inadeguatezza della persona che indossa la tradizionale hakama (segnale tangibile che ci dice che egli è l'esperto di Aikido), a dispetto di chi invece è presente con il solo keikogi (dunque, per esclusione, il judoka). Inadeguatezza perchè, nonostante i reiterati tentativi, il judoka proietta il "nostro rappresentante" più e più volte, senza particolare difficoltà.
Dunque la conclusione immediata alla quale si potrebbe giungere (visti i commenti prontamente cancellati), che è pure la più superficiale (ma su questo tornerò dopo), è che a vincere (eh certo, se sono "contro") è inequivocabilmente l'esperto di Judo, e conseguenza di quest'ultimo pensiero ma direttamente deducibile, l'Aikido non funziona, se non in contesti dichiaratamente accordati precedentemente alla pratica stessa.
Ma è così davvero? Se così fosse, ci si dovrebbe a questo punto domandare se vale la pena uno studio così lungamente protratto per decenni, che non sia in realtà una totale perdita di risorse e tempo personali (il presupposto di tale assioma è, ovviamente, che si veda l'Aikido come espressione del Budo e non olistica pratica volta al solo benessere fisico dell'appassionato praticante, per questo vi sono altre discipline, addirittura didatticamente meglio strutturate per il raggiungimento di tali obiettivi).
E la conclusione meno immediata? Come sempre, è bene fare capo al contesto. Ed il contesto cos'è in effetti? Il contesto è dichiaratamente 'sportivo', quindi non rispondente per fini, a quello che dovrebbe essere invece l'obiettivo stesso dell'allenamento, o meglio di un buon allenamento. Ci si chiede mai il perchè l'Aikido si allena così? Perchè nella specificità stessa della pratica sul tatami, si sia deciso (per mezzo di un processo di sperimentazione didattica durata decenni, naturalmente), che l'allenamento dei princìpi e dell'intero bagaglio tecnico proprio dell'Arte di Ueshiba, si sviluppi con questo tipo di pratica, piuttosto che un'altra? Perchè è un sistema complesso e come tale ha bisogno di "regole" che ci permettano uno studio approfondito, senza mai (si spera) disattenderne gli obiettivi, che vanno invece rincorsi attraverso la messa in pratica (con la propria tecnica, il proprio spostamento, la propria globale costruzione) dei princìpi che la fanno letteralmente esistere. E se "intorno" non vi è questa struttura, non vi sono le premesse, come è possibile pensare di fare dell'Aikido? In un randori "sportivo" di Judo, si fa del Judo sportivo, non dell'Aikido (non negando aprioristicamente la possibilità che in esso si possa anche "fare", ma nei soggetti protagonisti del video non ho scorto nè intenti nè, ragione ancor più pertinente, capacità). Parafrasando lo stesso Tissier, non posso presentarmi ad una partita di tennis, pretendendo di giocare a football. Dunque, al di là degli intenti (provocatori o meno), i due cosa in effetti stanno facendo? L'uno fa del Judo, all'interno di un contesto che conosce piuttosto bene (base del suo allenamento quotidiano), l'altro si sforza di parlare una lingua incomprensibile in tale situazione, dimenticandosi completamente di dove è, e che cosa in effetti sta accadendo, finendo inesorabilmente per non fare Aikido, ma tentare del bruttissimo Judo. Obiettivo che dire disatteso, è puro eufemismo. Ed io ho sempre preferito gli Stones.

lunedì 10 ottobre 2011

You never know...

"You never know with fighting how things are going to turn out. I try not to worry about that, I worry about the things that I can control."

Kenny Florian


In una certa misura, non è affatto conveniente preoccuparsi di ciò che non si può effettivamente controllare.
Nello specifico, all'interno di un sistema, è comune ritrovare l'utilizzo di una didattica che risponde a domande ben precise e definite, ma che, adottando una visione più ampia e distaccata dal particolare, sarà facile identificare come del tutto insensata, proprio se incastrata, bloccata in tale sistema, come metodo che risponde al particolare con (indovina un po'?) il particolare.
Mi spiego meglio (forse): è del tutto insensato pensare di studiare un sistema di "difesa" (come nel nostro caso, sempre che si voglia accettare questo tipo di classificazione, che per comodità ora prendo per buono, ma che in effetti rifiuto categoricamente, e prima o poi mi impegnerò a giustificare tale affermazione), che fornisca delle risposte pre-confezionate a particolari situazioni di combattimento, ovvero il più classico dei:
"A tale attacco corrisponde sempre tale tecnica."
MACCOSA??!! (si, sono un fan di Nanni Cobretti e i "maccosa" sono presenza costante del mio allenamento).
Sarebbe un po' come l'ammettere candidamente di conoscere il futuro, essere dei maghi e possedere la sfera di cristallo, o più prosaicamente rispondere ad una domanda che ancora nessuno in effetti ci ha posto. Sempre che la nostra risposta sia poi giusta. E visto che non conosciamo la domanda (perchè è così), la nostra risposta sarà, nel migliore dei casi, del tutto fuori luogo.
Dunque che si fa? Ci si preoccupa appunto, solo di ciò che effettivamente si può controllare. Ed è qui che l'Aikido ci viene in aiuto.
Questi, come sistema sorretto da princìpi e non da tecniche (che sono la didattica, il mezzo, fondamentali ma di certo non il cuore della nostra Arte), non si preoccupa se non di questo, ovvero del controllo, o meglio della ricerca di tale controllo.
In poche parole, non deve esistere un'impostazione che esige di rispondere ad un attacco in modo univoco, ne tanto meno la pretesa che questi sia un qualcosa di fisso ed immutabile, perchè così era e così sarà sempre. Non deve accadere, almeno non in qualcosa che è in costante evoluzione.
E l'Aikido in quanto Arte Marziale, mettiamoci l'anima in pace, lo è.
Attraverso lo studio profondo, dovremmo scoprire come affrontare una situazione che ci è ignota per forza, ma che è possibile indirizzare verso un controllo da gestire, ma solo nel momento stesso dell'azione, non prima. Certo, facile a dirsi. Sicuramente meno rassicurante che il pensare che vi sia una qualche possibilità di difendersi da uno shomenuchi, invece di trattarlo per quello che in effetti rappresenta (uno studio su una traiettoria e le possibilità di controllo che su questa stessa si aprono), e non la simulazione di un improbabile "attacco da strada" (questa espressione si, che mi fa sempre sorridere).
Meglio non rispondere: ho fatto 2 etti e mezzo, lascio? Se la domanda è: ciao, come stai?
E voi ovviamente, non siete un salumiere che di nome fa Elio.